venerdì 31 agosto 2012

La profezia nelle culture dell'Uomo.


Fonte: GOI

Joseph Gulino Grand Maître du Grand Orient de France

Joseph Gulino, 63 ans, a été élu jeudi soir Grand maître (GM) du Grand Orient de France (GODF), en remplacement de Guy Arcizet, a-t-on appris auprès de la première obédience maçonnique de l’Hexagone.
Créée en 1728, la GODF revendique quelque 50.000 membres.Plutôt classé à gauche, Joseph Gulino, aujourd’hui retraité, était directeur général des services techniques de la communauté d’agglomération de Lens-Liévin dans le Pas-de-Calais. Cet homme marié, père de deux enfants, était le seul candidat à se présenter à cette assemblée générale des 1.200 représentants de loges, qui se déroule à Nice de mercredi à samedi.Ancien Grand trésorier de l’Ordre, il succède au plus haut barreau de l’échelle des 33 grades à Guy Arcizet, 69 ans, médecin à la retraite, élu en 2010, puis réélu en 2011.
Le convent du GDOF réunit chaque année les délégués des 1.200 loges de ses 17 régions, pour élire le GM ou le reconduire (trois mandats maximum) et discuter à huis clos des sujets en cours.

Fonte: GADLU

martedì 28 agosto 2012

'Religione Civile', il 1 settembre convegno a Soveria Mannelli

 
Sabato 1 settembre, a Soveria Mannelli (Cz), con inizio alle 17, si terrà presso la sala convegni 'Ermanno Critelli' delle Industrie grafiche ed editoriali Rubettino, il convegno pubblico sul tema "Religione Civile". L'evento, organizzato dal Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Calabria e dalla Loggia "La Sila - D. Ponzio" n.363 di Decollatura, vedrà la partecipazione del presidente del Collegio, Antonio Seminario, del Maestro Venerabile della Loggia "La Sila - D. Ponzio", Ferdinando Serra, dell'Assessore alla Cultura della Regione Calabria, Mario Caligiuri e dal Gran Maestro Aggiunto del Grande Oriente d'Italia, Antonio Perfetti.
L'apertura dei lavori è affidata a Valerio Zanone, politologo e presidente del Comitato scientifico del Grande Oriente per le celebrazioni dei 150 anni dell'Unità d'Italia. Sarà invece Enrico Cataneo a moderare il confronto che prevede relazioni di Paolo Gastaldi, Università di Pavia ("Risorgimento Italiano e Religione Civile"); Santi Fedele, Università degli Studi di Messina ("L'8 settembre: morte e resurrezione della Patria"); Antonio Baldassarre, giurista e presidente emerito della Corte Costituzionale. A Tracciare le conclusioni, il Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia, Gustavo Raffi.
 
 
Fonte: GOI

domenica 26 agosto 2012

Vola alto nella Luce, Fratello Neil!


Neil Armstrong ha intrapreso la Sua ultima Missione. La più importante, in assoluto. Il “piccolo passo per un uomo” da lui fatto quel 20 Luglio del 1969, fu veramente un grande balzo fatto dall’Umanità.
Neil Armstrong, Buzz Aldrin e Michal Collins portarono a termine una missione che ancora oggi affascina: raggiungere la Luna e toccarne il suolo.
Primi esseri umani a farlo, tornando poi sulla Terra. Almeno nella nostra Era, per ciò che è dato saperne.
Il loro fu un viaggio che ebbe - per quanti si nutrono di valori iniziatici, simbolici ed esoterici – significati e testimonianze profonde; ai più assai poco note.
Ma che per noi iniziati nella Massoneria, assumono valori significativi e duraturi.
Ci piace pensare che per questa Ultima Missione, il nostro Neil abbia assunto le sembianze fiere di un’Aquila Reale dalle ali smisurate: che nel suo avvicinarsi istantaneo alla Luce  abbacinante del Tutto, non chiude gli occhi.
Un’Aquila fiera, veloce, luminosa: nella Vera Luce.
In quella Luce troverai – Neil – tanti Tuoi colleghi di esperienza, primi tra tutti quelli che persero la vita nelle missioni extra-atmosferiche.
Addio, Neil e grazie!

GRAZIE, NEIL ARMSTRONG! A PRESTO, FRATELLO DELL'UMANITA'!

Ieri 25 Agosto 2012 l'astronauta Neil Armstrong ha inziato la Sua Ultima Missione; il viaggio, fulmineo, verso l'Uno: il Tutto.
Quel 20 Luglio del 1969 ero tra i milioni di spettatori di quell'impresa colossale condotta dagli USA tramite la NASA: con gli occhi allo schermo e le orecchie ai suoni che ne venivano, arricchiti dai commenti di Tito Stagno e di altri Scienziati dell'epoca, anche noi eravamo in volo con "Apollo 11" ed il suo equipaggio.
Nei Armstrong, Buzz Aldrin e Michael Collins erano i nostri Cavalieri; le loro candide tute spaziali, erano l'armatura sofisticata che indossavano; la loro volontà ed il loro spirito erano la giusta Spada. I risultati della loro missione erano il giusto cibo per una Umanità divisa e già troppo attenta alle piccole cose del quotidiano.
Quel giorno l'Umanità vide con nuovi e diversi occhi.
Si accostò nuovamente a concetti ed a valori che taluno tentava di far soccombere sotto il peso schiacciante del secolarismo e della dittatura: anche dei cuori e delle idee.
Qual balzo prodigioso sulla Luna, quell'impronta lasciata dallo stivale di Neil sulla polvere lunare, quei simboli - terreni quanto universali - che vollero condurre dapprima sul modulo spaziale per poi lasciarli sulla Luna, sono i nostri simboli.
Le stesse parole di Armstrong - "questo è un piccolo passo per un uomo ma un balzo gigantesco per l'umanità" - racchiudono la fiera e sensibile essenza di quegli Uomini, trasmettendo un messaggio che andava e va ancora oggi "oltre" le parole.
Dalla Luna, Neil - come Edwin Eugene "Buzz", che era con lui; mentre "Mike" Collins li attendeva in orbita lunare sull' "Aquila" - tornò sereno ma intimamente cambiato.
Non ci è dato sapere - ed è giusto così - cosa o chi poté vedere attraverso gli oblò durante quel viaggio, cosa o chi poté vedere durante l'avvicinamento alla Luna o sul nostro satellite.
Certo è che da allora non volle più volare.
Non una scelta detatta da timori, ma - ne siamo certi - la scelta consapevole di un Grande Uomo Coraggioso che, posto a contatto con determinate realtà, comprese in modo diretto la fondatezza di certi Valori che, sulla Terra, erano e sono solo teorici.
Il Nulla, il Tutto, le meraviglie di un Cosmo brulicante di forme di vita.
Neil, Fratello, il Tuo Ultimo Viaggio nella Luce Ti consentirà di scoprire ciò che per gli esseri umani é inimmaginabile.
Ci piace credere che il Buon Dio, sempre intento nei Suoi prodigiosi calcoli - per noi misteriosi -, Ti abbia accolto con quella Gioia che il Buon Padre riserva ai Suoi Figli migliori, iniziando ad insegnarTi quella Scienza Superiore che regola i Mondi, gli Universi.
A presto Neil!

26 Agosto 2012
Giuseppe Bellantonio
Gran Maestro Em.
Gran Loggia Nazionale Italiana
Comunione di Piazza del Gesù

Fonte: http://giuseppebellantonio.blogspot.it/

sabato 25 agosto 2012

Convent 2012 du GODF à Nice

Le Convent du Grand Orient de France se déroulera  du 29 août 2012 au 1er septembre 2012 au Palais des Congrès Acropolis de Nice.
Voici le déroulement ce rendez-vous annuel qui verra, entre autres choses, l’élection d’un nouv eau Grand Maître, à la succession de Guy Arcizet :
  • Jeudi 30 août 2012:
- 08h00 : Ouverture des travaux du Convent – 08h45 : Accueil de Monsieur Christian Estrosi, Maire de Nice – 14h00 : 2ème séance plénière – 20h30 : Election du Grand Maître et du Bureau du Conseil de l’Ordre
  • Vendredi 31 août 2012 : – 08h00 : 3ème séance plénière – 14h00 : 4ème séance plénière
  • Samedi 1er septembre 2012 : (non ouvert à la presse)
- Fin des travaux du Convent à 12h30


Fonte: Gadlu

giovedì 23 agosto 2012

“LA LOCANDA DEL FALCONE ROSSO”

 

 
Fonte: GLDI

mercoledì 22 agosto 2012

lunedì 20 agosto 2012

Finalmente una risposta su: MASSONERIA, SATANISMO, CHIESE, SETTE, SIMBOLISMO, ECC. ECC.

In questi ultimi giorni è stato pubblicato un libbricino che tratta, in un unico contesto, di massoneria luciferina, del rapporto massoneria-società e di altro ancora che possa essere attinente a ciò e - di fondo - alla incompatibilità (espressa, a beneficio di Lettori frettolosi, nei termini tipici di una perenne e indeflettibile "impenetrabilità dei corpi") tra massoneria e cattolicesimo.
Lo scritto, che - purtroppo - non sarà l'ultimo su tale argomento, ha spunti interessanti che sottolineano il pregio dell'Autore, peraltro "soggetto togato" e quindi di per se stesso parte in causa. Così come lo è chi scrive, solo per la caratteristica di essere stato "iniziato" alla c.d. "Libera Muratorìa".
Anche questa volta, l'Autore indulge nella citazione/ripetizione di argomenti noti e arcinoti, trattati e ri-trattati, partendo sempre da un'unica posizione: quella di confondere la "vera" Massoneria - nei suoi complessivi quanto molteplici aspetti: storici, culturali, sociali, idealistici, filosofici e simbolico-ritualistici - con le peggiori devianze che altri e diversi contesti possono assumere.
Certamente si potrà obiettare che una cosa è la "teoria" espressa nelle idealità dei principi, ed altro è la pratica. Ma sono le stesse obiezioni che si potrebbero muovere con disinvolta superficialità - che so - anche all'ONU o ad altra nobile istituzione: la giustezza e la profondità della Carta delle NU non evita che vi siano guerre o continue lesioni dei diritti umani o contrasti tra blocchi di interesse. O accomunare tutti i commercianti agli illeciti commessi da uno o pià commercianti.
Si tratta quindi di obiezioni di massima che, per assumere concretezza, obbligano ad entrare nei particolari delle singole realtà.
Il fatto che tali contesti "deviati" assumano denominazioni/caratteristiche simil-massoniche o che i loro appartenenti scimmiottino procedure simil-massoniche, non significa che si tratti di autentiche formule massoniche nè di autentici Massoni.
Evidentemente, esiste il "male" ed è presente in tutte le forme e le formule che la quotidianità ci prospetta; ma è altrettanto vero che esiste il "bene", che è prevalente al "male".
Se dovessimo abbinare la presenza del "male" o del "satanico"o del "luciferino", presenti anche a livello non manifesto, ci dovremmo affidare a formulazioni che pur nella disamina concettuale avranno il carattere della generalità piuttosto che non della particolarità.
Perchè, se dovessimo scendere nel particolare, dovremmo prendere tutto l'elenco delle attività del "consorzio umano" nel mondo, tutti i modi con cui tale consorzio si manifesta ed opera specie tramite tutte le forme e le formule aggregative esistenti.
Avremmo un semplice assioma: tutto contiene parti di "male", così come contiene parti di "bene". Sono i comportamenti dei singoli - e dei singoli quali componenti di aggregati anche molto ampi - a fare la differenza: così che non possiamo dire che la ditta A dove opera o collabora il signor B - pregno di male - sia anch'essa intrisa da insanabile maglignità o che, per estensione, i colleghi di lavoro del signor B siano anch'essi ricolmi di malvagità.
Non discuto le ricerche fatte dagli Autori di opuscoli, libri e libretti vari; anche perchè non intendo scendere in una polemica senza volto e quindi di scarsa consistenza.
Trovo però discutibile come venga redatto il contenuto dei loro elaborati, così da costituire una sorta di marchio con il quale bollare di indegnità e malvagità milioni e milioni di persone nel mondo, e - per estensione - diverse decine di milioni se si accomunino le loro famiglie, ovverosia centinaia di milioni di soggetti se dovessimo computare la complessità dei rapporti che ogni singolo essere umano ha: nel privato, nel lavorativo, nel tempo libero come nella condivisione delle proprie idealità.
Esistono certamente le aggregazioni simil-massoniche, ovvero rifacentesi solo nominativamente o genericamente al massonico, che operano in modo opposto e contrario alle migliori idealità libero-muratorie: e vanno combattute, chiamando il male con il suo nome, definendole per nome e indicando le località dove operino, denunciandone alle Autorità competenti i comportamenti viziati da illeciti e/o illegalità.
Ma comportamenti similari, ossia all'insegna del "male" - del "cattivo", del "malanimo", della "malvagità" - sono anche in altri comportamenti: dagli illeciti finanziari agli abusi a danno di deboli e svantaggiati, dalla prevaricazione all'appropriazione indebita, dall'abudo della propria posizione alla pedo-pornografia. Comportamenti moltissime volte consumati approfittando dell'autorevolezza di certe posizioni ricoperte ed a dispetto dell' "abito" - nel senso idealistico/ideologico del termine - indossato.
Codesti pessimi soggetti non devono comunque operare, nè devono recare contagio alla Massoneria "vera e attenta alle proprie Tradizioni": è giusto che costoro vengano messi in condizione di non nuocere.
Ma avrei piacere che parole di chiarimento su talune posizioni - distinte ma, nell'anno del Signore 2012 del XXI secolo, affatto conflittuali: sempreché depurate dalle incrostazioni di mal digerite contrapposizioni, che la Storia ci tramanda specie circa il modo di esercitare il "potere" - pervenissero anche da eminenti Massoni che pur rivestono o hanno rivestito incarichi importanti. Rimuovendo, nel far ciò, pompose parole tipo "regolarità": reputo "regolari" tutti quei Fratelli che operino nel rispetto delle norme anche ritualistiche di base previste internazionalmente, con sincero spirito iniziatico non corrotto da interessi e/o ambizioni personali (quindi, per una crescita interiore basata su studi, approfondimenti e confronti), in modo trasparente e quindi sempre verificabile e - infine - nel pieno ed incondizionato rispetto delle Leggi della Repubblica Italiana e delle Istituzioni legittimate a rappresentare la nostra Patria.
Tutto ciò che si muove al di fuori di questo recito è "irregolare" e può scadere e degenerare, se non controllato dalle Autorità e denunciato proprio da quei Massoni che operano correttamente.
E' ora di finirla, una volta per tutte, di bollare - genericamente e in maniera qualunquista, barbara - tutti i Massoni come dei "senza Dio" o "eretici" o "settari" o "incappucciati" o "mangia-bambini" o "stregoni e alchimisti" o "delinquenti e approfittatori"! Salvo, per chi muove queste critiche cieche e carenti di preparazione, l'incorrere nello stesso oggetto delle loro censure: essere "settari" contro la Massoneria - in generale - ed i Massoni (e le loro famiglie) - in particolare -.
Mi piacerebbe poi che gli illustri Autori di queste guide, opuscoli o libri, dal momento che scendono in campo per trattare aspetti così delicati di un tema più ampio, non si limitassero alla citazione dei lavori di altri Autori - una sorta di copia-incolla, dove la trama ispirativa è travisata a favore delle possibili posizioni aprioristiche dei copianti, i quali, da cento pagine, traggono le righe a loro utili -, ma trattassero in modo esplicito di cose da loro toccate con mano, vissute, indicando dati, fatti, indirizzi, nomi e cognomi e l'identificazione, incluso il dove e quando, delle eventuali nefandezze compiute dai soggetti e di chi ne possa essere stato testimone fisico.
Scrivere sempre "di sponda", aggregando con sapiente abilità i "de relato" generici o i lavori di altri Autori o quantaltro, è facile: esistono software specifici o penne-a-tassametro pronte ad essere mobilitate.
E' mio parere che sia giunta l'ora di scrivere correttamente di cosa sia la Massoneria delle Tradizioni - e come opera chi la vive -, cosa sia la Massoneria moderna - quella nata nel 1717, per intenderci -, cosa si intende correttamente per "esoterismo", che valore abbiano i "simboli" (ma anche chi ne usi nel mondo, anzi - si fa prima - chi "non" li utilizza), e quantaltro.
Non so se il Buon Dio mi darà la gioia di leggerne, di queste corrette produzioni letterarie.
Diversamente, sono certo che negli anni futuri altri potranno leggerne.
Salvo i "tempi" dell'attesa: per riconoscere i torti subiti, Galileo Galilei ha dovuto attendere che trascorressero più di 400 anni; può darsi che per la Massoneria possano occorrerne di più.
Non saprei: ma la mia personale concezione del Tempo è molto relativa, poichè per me passato-presente-futuro sono aspetti di un'unica realtà.
Sempre e comunque illuminata da Dio. 
Roma, 19 Agosto 2012
Giuseppe Bellantonio
Gran Maestro Em.
Gran Loggia Nazionale Italiana
Comunione di Piazza del Gesù


venerdì 17 agosto 2012

Uno statista chiamato Cossiga.

di Giancarlo Elia Valori Che cos’è uno statista? Forse un Principe machiavelliano, "golpe" e "lione", furbo ma anche coraggioso; oppure un tiranno come Dione di Siracusa? Francesco Cossiga ebbe molte di queste caratteristiche positive, salvo la tirannide, e per questo, fu un vero e grande statista, tra i pochissimi che si possano elencare nella storia d'Italia.


Che cos’è uno statista? Forse un Principe machiavelliano, "golpe" e "lione", furbo ma anche coraggioso, sempre in bilico tra parere ed esser giusto; oppure un tiranno come Dione di Siracusa, che invita, lo racconta Platone nella sua "Settima Lettera", il filosofo ateniese e lo delude, poiché il suo stato è l’esatto contrario della "Repubblica ideale", ma è proprio per questo che detiene il potere assoluto, oppure un uomo che riesce ad elevare l’alta amministrazione a progetto politico unitario, come Cavour, senza mai nemmeno vedere le masse popolari che fonderà nell’Italia dei Savoia? Oppure ancora un capo militare che applica all’Empire le regole della Grande Guerra Europea della Rivoluzione e del Trinomio, come Napoleone I? Oppure, infine, il detentore dello spirito di servizio, del Beruf, della vocazione-professione teorizzata da Max Weber? Francesco Cossiga ebbe molte di queste caratteristiche positive, salvo la tirannide, naturalmente, ma le fuse insieme con la sua specifica cultura, visione del mondo, storia personale. E quindi, proprio per questo, fu un vero e grande statista, tra i pochissimi che si possano elencare nella storia dell’Italia Repubblicana. Lo statista è tale per natura e per storia, è cultura finissima che si rende istinto, come spesso accadde, soprattutto nei momenti difficili della sua vita politica, a Francesco Cossiga. Uomo di grandissima e originale formazione culturale e giuridica, che più propriamente dovremmo definire sapienza e anche questo è essenziale per lo statista, altrimenti si può al massimo arrivare al ruolo del demagogo eterodiretto, Cossiga ci ha insegnato che il cattolicesimo democratico è cosa ben diversa da una semplice attitudine mediatoria tra le varie istanze sociali, e che la sinistra del cattolicesimo non è affatto populismo, ma addirittura il suo contrario. E qui ci sarebbe ancora da meditare sull’interesse che il teologo Cossiga aveva per il Cardinale Newman, per la Chiesa Alta Anglicana della sua amatissima Gran Bretagna, insomma la capacità di vedere oltre, da fedele della Chiesa di Roma, le identità più ovvie del cattolicesimo italiano. Radici sarde, sempre fieramente sottolineate, che forse sono poi all’origine del suo particolare laicismo di cattolico fervente. L’esperienza di padre Manzella e del vescovo Mazzotti nella Sassari della formazione di Cossiga, con i Segni, i Biddau, i Campus, un cristianesimo liberissimo e aperto al mondo moderno ben più di tanti laicismi di facile partitura, sono uno dei primi assi della costruzione, che è anche disvelamento, dello statista che è ed era in Francesco Cossiga. «Meglio i preti dei fascisti», proclamò suo padre massone e liberale quando si trattò di decidere della formazione del giovanissimo Francesco, ma certamente per Cossiga non si trattò mai di una scelta di comodo, di una superficie di unzione religiosa dentro la quale operare una semplice lotta per il potere. Un potere che Egli non volle mai, altra caratteristica dello statista vero, ma lo ebbe perché gli venne, come arriva ex alto il "carisma", il dono dello Spirito Santo che è, anch’esso, sia pure laicizzato, un tratto determinante della teoria weberiana del Politico. Se osserviamo poi la carriera politica e ideale di Francesco Cossiga, possiamo notare alcune costanti che, anche oggi, dovremmo meditare meglio per capire e superare la crisi italiana. Un primo tratto è il nesso tra dimensione regionale e Nazione. Cossiga fu perfettamente italiano perché assolutamente sardo e, talvolta, sardista. «Italiano per volontà e scelta, come tutti i sardi», ebbe a dire una volta. Ma non si tratta di regionalismo puro e semplice, che pure fu uno degli elementi caratteristici della Democrazia Cristiana del dopoguerra. Per Francesco Cossiga le identità locali, anche fuori d’Italia (si pensi alla sua simpatia per i baschi, o al suo sostegno agli irlandesi, fino al suo studio attento dell’autonomismo catalano, unito per storia e lingua alla Sardegna) sono il punto in cui lo Stato Unitario si salda ai soggetti e alla società civile. Lo Stato è il tutore delle identità locali, non le sostituisce ma neanche quest’ultime possono mimare lo Stato che è, come afferma sempre Max Weber, «il monopolista della violenza legittima». Il contratto sociale non è un contratto vero e proprio, dove si contano i costi e gli utili, come oggi spesso accade di ascoltare. Per Cossiga, attentissimo lettore della filosofia politica tedesca, il "custode della Costituzione", secondo la teorica di Carl Schmitt, non è un uomo, ma lo Stato democratico che, a sua volta, è sottoposto allo "spirito della Costituzione", il modulo concettuale sempre vivo che lo ha regolato fin dal suo sorgere. Spirito e non lettera, concetto e non formula, idea regolativa kantiana e non regolamento. La Sua Presidenza, anche le sue "picconate" sono l’applicazione di questa idea della Carta Fondamentale. Non un feticcio da mostrare alle manifestazioni, ma una matrice dalla quale, per combinazione creativa, scaturiscono le soluzioni nuove ai problemi nuovi e imprevedibili della Politica, che è sempre filia temporis e sorge dagli "accidenti", non dalle "sostanze", come affermava un altro Autore caro a Francesco, Thomas Hobbes. Un’altra determinante per capire la dottrina politica di Cossiga è il tema dell’Autorità. Auctoritas facit legem, lo sapeva da storico del diritto, ma anche da conoscitore dell’Italia, da unire sempre, da tutelare, proprio con la Forza, dagli shocks dell’adattamento troppo rapido al mondo moderno che portarono, non a caso, al terrorismo. L’Italia, «sfasciume pendulo sul Mediterraneo», come diceva Giustino Fortunato, deve essere tenuta con una dose accettabile di forza, per evitare che i particolarismi diventino violenza, e la violenza somma ingiustizia. Cossiga ebbe sempre chiara la percezione della precarietà dell’Italia, unita da classi dirigenti lontane dalle masse, come affermava il sardo Gramsci, e da violente scosse cicliche di antistato, di entità criminali che si rendono territorio, e qui occorre ricordare la particolare attenzione che Cossiga aveva per l’analisi di Leonardo Sciascia. Le Forze Armate, poi, nel pensiero di Francesco Cossiga, non erano certo una semplice struttura dello Stato come le altre. O un "pegno" sofferto da pagare alla NATO o alla situazione di guerra fredda che passava ai confini Nord dell’Italia e all’interno di buona parte dell’elettorato. Erano il modo con il quale uno Stato si legittima e si rende autorevole, erano l’asse intorno al quale organizzare il controllo del sistema politico e sociale italiano. Nulla a che vedere, beninteso, con il militarismo verboso e velleitario del ventennio fascista, che anzi era il rovescio e la continuazione del "tamburo di latta" dei decenni precedenti al costituirsi del regime. Le Forze Armate costituivano e garantivano il funzionamento della nazione, non erano un residuo d’altri tempi, come certo cattolicesimo progressista tendeva ad affermare. Da questa visione cossighiana, che è anch’essa da rimeditare oggi, discende la speciale attenzione che Francesco ha sempre dedicato agli apparati di informazione e sicurezza. Essi, per molte delle culture che hanno formato la classe politica della cosiddetta prima Repubblica, erano il peccato originale dello Stato. Per Cossiga erano, per usare una metafora che una volta gli sentii utilizzare, le «coronarie del cuore dello Stato». Senza intelligence, niente gestione, né giornaliera né di lungo periodo, dello Stato e, oserei dire, della società civile. Da un lato, Cossiga doveva combattere con quelli, della Sua parte, che avevano una visione del tutto "interna" dell’intelligence, o che facevano derivare dal pacifismo assoluto di certo cattolicesimo una dura freddezza verso gli apparati di Sicurezza. Dall’altra, Francesco Cossiga era perfettamente cosciente del ruolo specifico e istituzionale che la sinistra marxista e i suoi partiti italiani avevano nello scacchiere europeo del Patto di Varsavia. Francesco Cossiga non si illuse mai che il Partito Comunista guidato da suo cugino Enrico Berlinguer, il "lato nobile e catalano" della sua famiglia, come ironizzava spesso, fosse altra cosa che una intelligente, spesso autonoma nelle sue mosse del cavallo, pedina dell’Est. E qui arriviamo ad un’altra direttrice dell’esperienza e del pensiero (che in uno statista si fondono) di Francesco Cossiga: la sua relazione con la sinistra, e non mi riferisco qui ai partiti, ma alle ideologie e ai bisogni di cui si facevano portavoce. La Democrazia Cristiana di Cossiga era popolare e "verso sinistra dal centro", secondo una nota formula di De Gasperi, perché Cossiga, in fondo, non si fidava fino in fondo della fedeltà alla Nazione della borghesia italiana. Conosceva, da lettore del giurista sardo Satta e da estimatore del suo "connazionale" Gramsci, che esiste sempre il potenziale, per la borghesia italiana, di un "sovversivismo delle classi dirigenti". Ed è in questo senso che Cossiga fu attento, e non solo per ragioni familiari, alle tradizioni delle élites italiane. Massoneria, che non è solo una società segreta che mira all’unità nazionale, ma una spessa tradizione esoterica, che a Francesco molto interessava, l’Opus Dei di San Josémaria Escrivà de Balaguer, la nuova forma di sintesi tra vocazione lavorativa, il Beruf weberiano, e la tradizione della Chiesa di Roma, l’associazionismo laico dei clubs di servizio. Senza educare la borghesia non si educa il popolo, e senza le tradizioni elitarie del nostro Paese non si ricostruisce la lunga linea grigia dal Risorgimento alla Repubblica, dal Regno senza popolo all’Italia delle masse. Fu però, senza ombra di dubbio, un "uomo di sinistra", nel senso filosofico e culturale del termine, che ben sapeva come gli squilibri tra Nord e Sud, tra Centro e Periferia, tra identità di ceto e politiche e identità nazionale, sono in Italia una miccia sempre accesa. La sua attenzione al movimento sindacale, per esempio, e la sua capacità morotea di rispettare il PCI riuscendo ad assumere, come democratici cristiani, tratti sinceramente e profondamente progressisti, saranno essenziali nel separare il movimento operaio e perfino parti del movimento studentesco dalla spirale tragica del terrorismo. Per Francesco Cossiga, la lunga fase che attraversa la tragedia di Aldo Moro e tende a scemare con la metà degli anni ’80, ovvero il mischiarsi e separarsi di terrorismo rosso e nero, erano da leggersi con un modello concettuale complesso. Da un lato le tensioni dello shock della modernità in una società spesso ancora arcaica come quella italiana, che fornivano la massa di manovra per la destabilizzazione della Penisola, dall’altra la situazione mediterranea, che Cossiga ben conosceva, dall’altra ancora il coincidere delle diverse forme di "guerra a bassa intensità" in un Paese debole che però poteva essere un temibile concorrente economico, militare, strategico ed anche una ambitissima preda per il "nemico" storico. O anche per altri. Nella meditazione, anche personalmente molto sofferta, della questione terroristica in Italia, si legge in trasparenza tutta la filosofia e l’azione politica di Francesco Cossiga. La "stagione dei fuochi" rappresentò per Cossiga la perdita incancellabile di un amico e maestro politico, Aldo Moro, ma anche un punto di svolta nella meditazione del "caso italiano". Fu da quel momento che Francesco Cossiga riprese le fila di quelle idee che costituiscono un’altra delle determinanti sempre attuali del suo pensiero. Ovvero, per sintetizzarle in una formula: «senza politica estera in Italia non vi è politica interna credibile». Non un paese eterodiretto, come affermavano i più ingenui caudatari di alcune forze politiche che poi saranno vicine o almeno indifferenti rispetto al terrorismo, ma una Nazione che, per determinanti geopolitiche, per caratteristiche demografiche e economiche, per la distribuzione dei suoi potenziali produttivi, per la sua stessa identità culturale, doveva avere una politica estera da grande Nazione pur rimanendo, all’interno della Alleanza Atlantica, una "media potenza" e non, come oggi accade, e non sempre per colpa nostra, una "piccola potenza". Francesco Cossiga sapeva, data la sua straordinaria capacità di leggere i dati anche grezzi dell’intelligence, che la lotta per il primariato nel Mediterraneo è senza esclusione di colpi, e gli amici e alleati vanno rassicurati e garantiti, oltre che chiamati in causa quando occorra. La NATO non era un letto sul quale distendersi, e certo non lo è nemmeno oggi, ma una complessa partita, per l’Italia, di dare ed avere, senza complessi ma anche senza ingenuità pacifiste. Dalla crisi terroristica in Italia in poi, Francesco Cossiga diventerà un lettore ancor più vorace del consueto di saggi geopolitici e strategici, e sarà sempre più convinto che il destino del Nostro Paese si gioca all’interno come all’esterno dei confini nazionali. Da qui la sua lettura complessa e attenta delle nuove dottrine USA per il primo intervento in Iraq, la sua tensione verso l’ammodernamento tecnologico e dottrinale delle nostre Forze Armate, anche facendo fondare il Centro Militare di Studi Strategici presso il CASD, la forza con la quale Francesco Cossiga ripeteva che senza una nuova e forte correlazione di forze con gli Stati Uniti, da non esaltare acriticamente ma piuttosto da sostenere con forza secondo i nostri interessi nazionali, senza un asse Nord-Sud con la Gran Bretagna, che integrasse la Francia orfana di De Gaulle, senza infine cedere mai, per ingenui calcoli petroliferi, ad un arabismo di maniera ma rispettando l’evoluzione della questione palestinese, e soprattutto riaffermando che il punto Est della Strategia Globale italiana nel Mediterraneo era Israele, senza tutto questo, diceva Francesco e ripeto io, l’Italia era finita e poco ne restava, per parafrasare un autore anch’esso, paradossalmente, caro a Cossiga, Prezzolini. Fu l’unico a capire subito che, con la caduta del Muro di Berlino, si parlava soprattutto dell’Italia, de te fabula narratur, e che lo scollamento dei due blocchi strategici e la sua ricomposizione altrove, con altri e clausewitziani mezzi, determinava una crisi italiana interna e sovrapposta a quella crisi lunga e strutturale che lui ben conosceva e che abbiamo già sopra accennato. Se non si capiva questo, e non se ne traevano le debite conseguenze, l’Italia sarebbe stata marginalizzata sia nell’Alleanza Atlantica che nella nuova distribuzione dei potenziali geoeconomici globali. E qui è doveroso ricordare le osservazioni attente che Francesco Cossiga fece al tempo delle grandi privatizzazioni, di cui colse le potenzialità innovative, soprattutto nella nuova separazione tra classe politica e imprese, ma ricordando sempre che una nazione di "albergatori e artigiani" male avrebbe retto, come poi è stato dimostrato, agli shocks asimmetrici delle nuove economie globalizzate, finanziarizzate, aperte a quelle aree che, durante la guerra fredda, erano di fatto escluse dal grosso del commercio e della produzione mondiali. E, per concludere un ricordo storico-scientifico ma intimamente commosso della figura di Francesco Cossiga, si deve ricordare la sua identità culturale e la molteplicità dei suoi interessi, che era l’asse portante della sua opera politica. La sua attenzione per la pop culture, che ad occhi raffinati dice molto di più, sul nostro tempo, di un saggio accademico, i suoi interessi teologici, che non erano solo la passione del credente, ma la conoscenza del motore immobile del pensiero politico, la "Politische Theologie" schmittiana che ben conosceva, la sua profonda cultura storica, che passava da una osservazione sulle forme dell’abigeato nella Sardegna medievale alle note su Theodore Roosevelt, la sua passione per i testi dei viaggiatori, da Marco Polo a Bruce Chatwin, la sua capacità di seguire con la sapienza dei pochi la comunicazione di tutti, il cinema, la musica, i mass-media. Avremo ancora da imparare molto da Francesco Cossiga, e il ricordo non ci basterà. Occorrerà il pensiero e la nostra capacità di adattare la linea di Francesco ai tempi nuovi e calamitosi che ci attendono.


Fonte: Il Tempo

ALCHIMIA ALCHIMIE 2012, dal 24 al 26 Agosto

“2012: la fine del mondo, il fine del mondo”.
San Leo ricorda Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, attraverso una cena in Fortezza, conferenze, dibattiti, spettacoli e un mercatino magico alla scoperta di leggende, tradizioni e miti legati alla notte dei tempi.
Mercatino MAGICO-ALCHEMICO: per le vie del centro storico un grande mercatino dal 24 al 26 Agosto.



Fonte: San Leo


(Gazzetta del Sud) "I classici educano alla legalità e all'amore per il bene comune".

Cliccare sull' immagine per ingrandire

Fonte: Gazzetta del Sud - GOI

giovedì 16 agosto 2012

(Adnkronos) Libri: 'La Pietra della Bellezza', Giordano Bruno e l'eresia del pensiero oltre il rogo.

Sotto un fragore di fulmini e lampi entra in scena Giordano Bruno in abito da domenicano. Il saio appare sgualcito, rammendato in vari punti. Calza il suo cappuccio nero e reca sulle spalle un sacco di iuta. Porta in mano vecchi libri, rilegati a pelle. Alterna latino e napoletano. Ha un incedere deciso ma a scatti, come se si fermasse per ricordare qualcosa che rincorre continuamente inquieto. Va al centro, nel bel mezzo di un pavimento-scacchiera. Saltella tra il bianco e il nero, mentre dice: ''Ecco la vita. Bianco e nero. La verita' e' non fermarsi. Sono un filosofo, questo ho voluto essere tutta la vita''. E' l'incipit de 'La Pietra della Bellezza. Giordano Bruno, l'eresia del pensiero oltre il rogo', l'atto unico teatrale di Gerardo Picardo dedicato alla storia del Nolano (prefazione di Claudio Bonvecchio, ed. Stamperia del Valentino, Napoli, info. www. stamperiadelvalentino.it, 081-5787569). Giordano Bruno e Clemente VIII, il Papa che lo ha messo al rogo, si ritrovano sulla scena. Inizia un impossibile dialogo nel quale il filosofo spiega e difende le proprie ragioni contro ogni dogma e potere.
Oltre le fiamme del rogo ci sono gli occhi di Morgana, l'amore. E la febbre di una ricerca senza fine. L'orgoglio del Nolano, la sua liberta' senza tempo. Queste pagine raccontano con semplicita' la storia di un uomo che ebbe una sola paura: quella di non aver piu' tempo per pensare. E continua a ripetere: ''Sono venuto a portare il fuoco sulla terra''. ''Non ho lasciato in pace nessuno -recita un passaggio del testo, dedicato a Gustavo Raffi- da alcuno sono stato lasciato in pace. Ho scritto con il mio sangue che mai bisogna rinunciare alla ragione. Non perdono e non abbraccio i carnefici. Dalle prigioni dell'Inquisizione non ho smesso di credere che l'uomo va rimesso in piedi. Oggi come ieri, io diro' la verita'. Perche' ho dubitato di tutto. So che un grande amore ha creato il cosmo e i cuori umani. Ogni punto dell'universo e' centro. Il confine e' confronto, mai limite. La ruota del tempo fara' giustizia. Se il pensiero non serve a scavalcare confini, non serve a nulla. Deve abbattere i muri, ascoltare il vento, soffiare speranza. La mia rivoluzione? Ho rimesso l'uomo al centro di tutto, padrone del proprio destino. Dalle sbarre della mia cella, nelle prigioni dell'Inquisizione, non ho smesso di cercare le stelle. Oggi come ieri, io diro' la verita'. Posso farlo, perche' ho dubitato di tutto. Ho concluso il mio dialogo migliore battezzando nove iniziati ciechi nelle acque del Tamigi''.
Scrive nella prefazione Claudio Bonvecchio: ''Frate Giordano non era un uomo facile. Sicuramente era un uomo ''scomodo'', come ebbe modo di sperimentare il cardinale Bellarmino - prefetto della santa inquisizione e oggi venerato come santo - nei sette lunghi anni in cui cerco', con tutti i mezzi, di riportarlo nell'alveo della chiesa romana. Invano. Perche' Giordano Bruno, se era aspro e spigoloso come la sua terra natale e furbo come chi deve lottare per sopravvivere, aveva il culto della liberta': una liberta' interiore al limite dell'anarchia, sulla soglia del misticismo. Sicuramente una testimonianza laica di orgoglio intellettuale. Questo era il suo centro nascosto: la sua Pietra della Bellezza, come felicemente intitola Picardo questa avvincente pie'ce teatrale su Bruno''. In pagina come sulla scena, il filosofo ''difende a spada tratta la sua visione di un mondo in cui ragione e pensiero, ricerca e ombra, dubbio e certezza, bellezza e natura si fondono in un'unica verita': quella di un uomo libero da vincoli, che vive in piena sintonia con se stesso e il mondo''. Il lettore-spettatore viene cosi' catturato nella vicenda del Nolano, fino a scoprire il segreto della sua ricerca. E le sue parole che invitano ad andare oltre: ''Morgana, amore mio, guarda in fondo al pavimento di pietra: dove ci saranno uomini liberi, la mia filosofia vivra' ancora. Vieni. Laggiu' c'e' la pietra della Bellezza''.
 
Fonte:  AdnKronos - GOI

venerdì 10 agosto 2012

Costituzione del "Centro Studi sulla Massoneria" - Coordinatrice Nazionale: Sor.·. Stefania Pavan

"La nostra Obbedienza ha costituito il "Centro Studi sulla Massoneria", allo scopo di studiare la Massoneria in ogni ambito artistico e scientifico. I risultati degli studi possono, quindi, concretizzarsi in modo molto differenziato: congressi, pubblicazioni, concerti, mostre, spettacoli teatrali e altro; perché "le Muse fanno il girotondo", tenendosi per mano in un'ideale catena di unione. È previsto un Comitato Scientifico, con il compito di scegliere tra le proposte di progetti di studio e di individuarne le più opportune vie di realizzazione.
La Sor.·. Stefania Pavan ha funzione di responsabile e coordinatrice nazionale.
Le RR.·.LL.·. di ogni regione scelgono una Sorella, che assume la funzione di coordinatrice regionale. Il Comitato Scientifico sceglie ogni anno, tra quelli presentati, un progetto di studio, intorno al quale è auspicabile si coagulino gli interessi e il lavoro di tutte le Sorelle dell'Obbedienza, che vogliono dare il loro contributo fattivo. Partecipano ai progetti di studio anche profane e profani, con competenze specifiche.
Il "Centro Studi sulla Massoneria" cercherà anche di far pubblicare contributi sulla Massoneria, compatibilmente con la possibilità di trovare i necessari finanziamenti, e in accordo con le norme invalse per l'editoria di qualità: referees, norme editoriali precise e altro.
La Gran Loggia Massonica Femminile d'Italia presenta il "Centro Studi sulla Massoneria" il 13 ottobre a Firenze, evento al quale ha già assicurato la sua presenza la Sor.·. Irène Mainguy, bibliotecaria del GODF e studiosa di fama."

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Presentazione del "Centro Studi sulla Massoneria"
La Gran Loggia Massonica Femminile d'Italia
presenta il "Centro Studi sulla Massoneria"
Firenze, 13 ottobre 2012

Seguiranno maggiori informazioni sull'organizzazione
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Fonte: Sito web  Loggia Massonica Femminile d'Italia

(La Repubblica) Elémire Zolla dalla mistica all'infinito il raffinato cacciatore delle tradizioni perdute

"Quando incontrai la prima volta Elémire Zolla, a Roma in un pomeriggio invernale di quarant' anni fa, la conversazione finì per cadere su Adornoe su Burckhardt, l' autore di un saggio sull' alchimia che avevo letto da poco. Mi resi conto più tardi della singolare combinazione: i due autori stavano a significare due mondi, certo non affini, ma almeno virtualmente comunicanti. Zolla (scomparso dieci anni orsono settantaseienne) conosceva certo fin troppo bene il valore di saperi, come l' alchimia, frettolosamente rimossi o declassati a passatempo per ciarlatani. Ma per tornare ad apprezzarli occorreva liberarsi dal destino deludente che Adorno continuava ad assegnare, nonostante tutto, all' eroe individuale. L' intima compagine e dignità dell' individuo, secondo Adorno, si sarebbe potuta acquistare soltanto a prezzo «dell' umiliazione dell' impulso alla felicità intera, universalee indivisa», e con l' avvilente constatazione che il singolo, prigioniero di una impietosa dialettica, tende comunque a rispecchiare fedelmente le qualità peggiori del suo ambiente sociale. Ma non è forse Mefistofele, come si legge nel Faust, il padre di tutti gli impedimenti? Bisogna superare l' ostacolo, osare il "salto", mi disse poi Zolla in quel primo incontro, aggiungendo che la sua antologia su I mistici, apparsa nel 1963, per lui aveva rappresentato proprio quel punto di svolta. Da dove occorreva "saltare", e per raggiungere che cosa? «Quasi tutti», scrisse Zolla diversi anni dopo, «passano la vita intera vedendo d' attorno null' altro che un suolo miserando e inerte: la vita quotidiana, strumentale, irretita nelle categorie note, recintata in ogni minimo aspetto». Parole che fanno intuire quanto fosse arduo affrancarsi dai riti di una pervasiva cultura di massa; come pure da tutte le invisibili fatture, vere aggressioni di magia nera, a cui siamo regolarmente esposti. Soprattutto nei suoi primi saggi, L' eclissi dell' intellettuale (1959) e Volgarità e dolore (1962), prevalgono lunghi elenchi dei fascini, idoli, sortilegi, contagi, persecuzioni che si celano dietro le più semplici frasi, le espressioni comuni e le più innocue abitudini di cui abbonda l' esperienza quotidiana. Basta poco per esserne irretiti, per consegnarsi inermi e pressoché ignari a forze che insidiano senza tregua il nostro virtuale tesoro di sapienza, costringendoci a una difesa che è già una capitolazione. I mezzi di affrancamento non si potevano certo trovare, secondo Zolla, in qualche fede nel "progresso", una fede che si sarebbe potuta dileggiare con le stesse parole impiegate da Baudelaire: «Trasposta nell' ordine dell' immaginazione, l' idea di progresso (...) si erge con un' assurdità minacciosa, con una bizzarria grottesca che sconfina nell' orrore». Le occasioni di liberazione e le migliori direttive per sostenerla Zolla le ritrovava piuttosto nei tesori di tradizioni perdute. Bisognava solo riscoprirli, riconoscendone le affinità al di là delle differenze. E non contava molto allora da dove si iniziava: se dalla Grecia o dalla mistica cristiana, dall' India o dal Giappone, dall' Islam o dalle tradizioni sciamaniche, dalla religione iranica o dalla mistica ebraica. Le vie più autentiche, ovunque fossero, miravano a un patrimonio comune di conoscenze. Una rigenerazione avrebbe potuto essere propiziata anche dall' insegnamento di uomini umili - come Alce Nero, Nisargadatta Maharaj o il sapiente Dogon - così lontani dai nostri preconcettie pregiudizi più radicali.A chi avesse squalificato come "sincretismo" quella parificazione tra religioni e filosofie, Zolla avrebbe ricordato che l' antica Scuola di Atenee la rinascimentale Accademia platonica di Careggi erano pure state "sincretiste", e avrebbe anche citato l' esempio di Ismaele, l' eroe del Moby Dick di Melville, che abbraccia il suo compagno di bordo, «un selvaggio Polinesiano adoratore di feticci e maestro muto di metafisica e di simbologia». Anche Zolla era un maestro nell' accostare culture e tradizioni lontanissime, grazie al suo talento linguistico e a una sterminata erudizione. Ma ciò che lo distingueva era una piena sicurezza dell' insufficienza del linguaggio, una sicurezza che per lui stava al centro della conoscenza esoterica. E infatti l' essenza del mistico, si legge nei Trattati sui riti della tradizione vedica, è l' arte di "storpiare" le parole per custodire così la parola segreta, la sola che davvero conti. Zolla faceva suo l' insegnamento di Dante: la metafora è supremo mezzo di verità, ma non mancava anche di avvertire che i significanti, le parole, non attingono mai realmente i significati e i segni non riescono a raggiungere la realtà indicata. È la parola intima che conta; decisivaè solo l' esperienza del possesso di ciò a cui la lingua si sforza di alludere. La Grecia arcaica distingueva fra la parola efficace e veridica, piena di senso, e quella vana, semplicemente appresa, che non persuade e non vale nulla. Il logos interiore, coltivato nell' intimità, era sempre tenuto distinto dal logos esteriore, dal verbo pronunciato. A Zolla interessavano molto le teorie della fisica e della matematica moderne: riteneva infatti che quelle teorie potessero mettere in gioco problemi di grande risalto e anche chiarire, in qualche caso, verità prefigurate nella antica metafisica. Ricordo a questo proposito le visite nella casa sull' Aventino, popolata di gatti, che egli condivideva allora con Cristina Campo, finissima voce poetica, interessata lei stessa alla misticae alla simbologia e spesso presente alle nostre conversazioni. Si discuteva sulla natura dei principî della matematica e sullo straordinario rilievo delle questioni sollevate dal calcolo quando vi è implicato l' uso dell' infinito. Da come è stato inteso di volta in volta l' infinito, se in atto o in potenza, è infatti derivato l' intero sviluppo della scienza come pure, in generale, del modo di pensare in Occidente. La geometria e la meccanica, la metafisica e la cosmologia, le arti e la politica, l' etica e la medicina ne sono state improntate. La matematica moderna ha infine ritrovato e fatto propria la filosofia dell' infinito dei greci. La stupefacente ampiezza di vedute di Zolla mi incitava, durante e dopo quelle visite, a riconsiderare le leggi del calcolo, ricollegandole a quel complesso e ricchissimo amalgama di filosofia, di religione, di tecnica, di letteratura e di misticismo che ne aveva segnato gli sviluppi, dai tempi più remoti fino all' età moderna e alla scienza dell' ultimo secolo. A quella combinazione di elementi così eterogenei già alludevano segretamente formule verbali, rintracciabili nelle fonti, rivolte tanto alla metafisica quanto a conoscenze positive di cui la matematica non ha mai potuto fare a meno di avvalersi."
 
Fonte: Repubblica - Paolo Zellini - GOI

giovedì 9 agosto 2012

Domenico Lancianese " Il mistero del Tempio Nero "


Dall’affollato mondo delle leggende e dei miti della Massoneria, che l’immaginario collettivo dipinge spesso di tinte fosche e di inconfessabili misteri , emerge anche la fantastica storia dei “ Figli della Valle”. 
Un giovane drammaturgo tedesco, Zacharias Werner, scrisse un’opera esoterica dal suggestivo titolo: “I Figli della Valle”. Egli si proponeva come il detentore di una tradizione antica e segreta, che fu ripresa anche dalla Massoneria mistica, secondo la quale, nascosta in una misteriosa e fantastica valle di Josaphat,, occultata e vietata a chiunque, ha sede una sparuta comunità di sapienti che ha il grave compito di realizzare nel mondo i disegni divini. La mitica valle di Josaphat è evocata con accenti fortemente profetici nella bibbia ed esiste realmente a sud di Gerusalemme. 
“I Figli della Valle” sono l’espressione e l’essenza stessa dello spirito divino che pervade la valle, che la anima e la rende il vitale e fiorito giardino della conoscenza e della virtù. In questo contesto irreale, mistico e affascinante, vestiti di bianco e con il volto solcato dal peso della responsabilità loro affidata, essi osservano gli uomini, elaborano le loro strategie e guidati della loro saggezza intervengono nelle vicende della storia. “ i Figli della Valle” sono il vero potere occulto, coloro che con il loro operato incidono in modo determinante sui destini dell’umanità e la guidano verso i sentieri della conoscenza rimanendo, avvolti nell’inquietante velo della segretezza e del mistero. [ Leggi... ]

Fonte: Domenico Lancianese

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martedì 7 agosto 2012

"MASSONERIA D' ESSAI" : Robert Ambelain da << Cérémonies et rituels de la Maçonnerie symbolique>>.



Robert Ambelain da << Cérémonies et rituels de la Maçonnerie symbolique>>.


Fonte: Estratto da << Cérémonies et rituels de la Maçonnerie symbolique>> di Robert Ambelain. Robert Laffont editore Parigi. Per gentile concessione dell' Autore e dell' Editore al Direttore di “Dialoghi e Prospettive” – 1978

sabato 4 agosto 2012

Domenico Lancianese " I Templari Setta esoterica "


«Guarda il pensiero nel tuo cuore. Addio in questo mondo, la pace del Signore sia con te, ma pensa al Tempio e ai Templari. Noi abbiamo perduto le nostre speranze terrestri ma abbiamo mantenuto in cuore la fede, perché siamo Cavalieri di Cristo - I lebbrosi resusciteranno e ricostruiranno il Tempio distrutto di Salomone, in modo celeste, contro l’impero del dragone».
(decifrazione di un graffito sulla parete di una cella del castello di Chinon- traduzione dell’autore)


Illuminati o eretici ?
I Templari furono una Setta esoterica? I sostenitori dell’innocenza dell’Ordine del Tempio lo negano mentre i suoi detrattori, e coloro che lo ritengono effettivamente colpevole, sono invece propensi a sostenere che i Templari fossero una Setta non solo esoterica, ma anche eretica. Del tutto particolare la posizione della Massoneria, la quale, nel ritenersi erede della sapienzialità templare, oltre ad affermare che l’Ordine fu ingiustamente perseguitato, lo considera anche una fonte primaria del suo esoterismo e il continuatore occidentale della Tradizione, intesa ovviamente nella sua accezione ermetico-esoterica. 
E’ significativo osservare come esoterismo ed eresia vengano continuamente accostati tra loro quando si parla di Templari e che questa circostanza si verifica per la prima volta proprio a partire dalla vicenda del loro processo per continuare, in maniera palese, ma mai ufficialmente affermata dalla Chiesa, fino ai nostri giorni. 
Ovviamente esoterismo ed eresia sono due cose assai diverse perché essere cultori di esoterismo non significa affatto essere eretici, né la Chiesa ha mai esplicitamente condannato l’esoterismo, pur annoverandolo tra quei percorsi esistenziali e spirituali che, in quanto strettamente connessi con l’ermetismo e lo gnosticismo, non ricevono la sua approvazione. 
Pur cancellando l’Ordine del Tempio delle istituzioni ecclesiastiche la Chiesa infatti non pervenne alla sua condanna per eresia perché in questo caso sarebbe stata costretta ad affermare che quello esoterico era un atteggiamento eretico, sconfessando in questo modo un suo operato secolare e perdendo così ogni presa psicologica sul mondo della Cavalleria. [ Leggi... ]
 
Fonte: Domenico Lancianese

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